La denuncia dell’associazione ambientalista Greenpeace: “introiti potevano essere utilizzati per favorire la transizione del settore”
Dal 2020, l’Italia ha posticipato quattro volte l’entrata in vigore della tassa sugli imballaggi in plastica monouso, la cosiddetta Plastic Tax. Greenpeace, la rete internazionale di attivisti ambientali, ha calcolato il mancato gettito fiscale del ritardo e, in un report in cui ha pubblicato tutti i risultati, ha spiegato anche come si sarebbero potute usare quelle risorse.
Dal 2020 al 2023, dunque, la mancata entrata in vigore della Plastic Tax, introdotta in Italia con la legge di bilancio 2020, ha sottratto alle casse pubbliche in termini di gettito fiscale circa 1,2 miliardi di euro, considerando un’imposta di 0,45 euro per chilogrammo di plastica da imballaggi. Questa è infatti la quota stabilita, non senza complessi e lunghi dibattiti, dal Parlamento.
Ultimo rinvio del Governo Meloni al 1 gennaio 2024
Se si considera, invece, la versione originale della Plastic Tax, quella che prevedeva un’imposta di un euro per chilogrammo di plastica da imballaggi, negli ultimi quattro anni sono allora stati persi oltre 6 miliardi di euro di gettito fiscale. Sono questi i conti stimati da Greenpeace nel report “I posticipi della Plastic Tax“.
Ora l’ultimo rinvio della plastic tax voluto dal governo Meloni sposta la misura al 1 gennaio 2024. Nel report, l’associazione ambientalista punta il dito contro interessi industriali che hanno continuato a usare il paravento delle crisi di questi anni, dal Covid ai prezzi dell’energia alla guerra in Ucraina, per sostenere nuovi rinvii della plastic tax: sarebbe stata insostenibile per l’industria. “I parametri Istat indicano però che in questi anni il settore degli imballaggi in plastica nel nostro Paese ha fatto registrare nel complesso risultati positivi, nonostante la crisi economica innescata dalla pandemia”, scrive Greenpeace che quindi ricorda come “lo Stato ha favorito un settore industriale che continua a realizzare grandi profitti“.
Il mancato introito avrebbe consentito di ammodernare il settore e renderlo più circolare e sostenibile, denuncia Greenpeace. La tassa è di per sé un incentivo a consumare meno plastica preferendo prodotti ricaricabili o sfusi, ma potrebbe essere usata per creare un sistema di incentivazione per accompagnare la transizione del settore.
La direzione in cui stiamo andando, invece, parla di un aumento della plastica. “Nonostante la battuta d’arresto dovuta alla pandemia, l’immissione al consumo di plastica da imballaggio è tornata a crescere del 3% nel 2021 rispetto al 2020 e, secondo le ultime previsioni del CONAI (Consorzio nazionale imballaggi, ndr) è prevista in crescita a un tasso annuale dello 0,3% nel 2022, dell’1,9% nel 2023 e dello 0,9% nel 2024“, avverte il rapporto.