Le penne lisce non piacciono agli italiani, che preferiscono quelle rigate. Ma conoscete la vera storia delle penne?
Gli italiani sono tra i maggiori consumatori ed estimatori di pasta al mondo, ma pensandoci non amiamo tutte le tipologie di pasta, ad esempio le penne lisce rimangono sempre l’ultima scelta nei supermercati anche in caso di acquisti compulsivi di massa.
Perlustrando online saltano fuori persino ironici comitati per l’abolizione del famigerato formato e schiere di detrattori convinti da tempi non sospetti.
L’abbiamo notato anche nella rincorsa a fare scorta di cibo nei primi giorni d’allarme della pandemia da Covid-19, tanto da aver fatto scatenare l’ironia sul web, fiorire di analisi e trasformare le penne lisce in trend topic sui social network nel giro di poco tempo.
Come mai gli italiani non amano le penne lisce?
Possiamo dire che far apprezzare le penne lisce non è mai stato semplice, almeno da Roma in su: infatti, in termini di preferenze, l’Italia si divide in due: al Sud la pasta è liscia, mentre al Nord è rigata. Una filosofia di vita paragonabile a quella tra chi ama la bistecca ben cotta e chi quella al sangue.
Tutto questo è saltato all’occhio in occasione del cinquantenario della legge purezza sulla pasta, nel 2017 quando Aidepi ha fotografato le preferenze degli italiani in fatto di pasta secca.
Le penne sono l’unico tipo di pasta a vantare un’origine certa: nascono infatti a Genova nel 1865 grazie all’invenzione tecnologica di Capurro che brevettò un macchinario per eseguire un taglio inclinato, creando un formato corto simile appunto ad un pennino stilografico.
Le penne sono però nate lisce, è successivamente con la lavorazione industriale con macchinari di altro tipo che diventano rigate.
“Storicamente a Napoli la pasta rigata veniva prodotta solo per i mercati del Nord” spiega Giuseppe Di Martino del Pastificio Di Martino, “era venduta dai gragnanesi sul mercato di Roma e chiamata per questo uso Roma. Poi la pasta rigata è diventata popolare per mascherare difetti di produzione e con l’avvento delle lavorazioni industriali”.
In molti giustificano la preferenza delle penne rigate perché tratterrebbero maggiormente i condimenti, ma i grandi chef come Gennaro Esposito, lo chef stellato padrone del ristorante Torre del Saracino, affermano che se la lavorazione è di qualità le penne lisce mantengono la porosità naturale dell’impasto, che assorbe naturalmente il sugo e combina una fusione armonica con la totalità del piatto.
Ma c’è un però che i puristi del formato liscio portano sempre a supporto della loro preferenza, ovvero che la rigatura determina una superficie non uniforme, con picchi e avvallamenti, ed espone all’acqua più superficie: in cottura, resterà più al dente nella sua parte spessa, rilasciando più amido in quella più sottile.
Cosa succede dunque? Ci sarà una “stracottura” delle punte e la masticazione delle penne rigate risulta sicuramente più fastidiosa, meno delicata.
Dunque non restituirà un risultato uniforme, è una pasta imperfetta e di invenzione relativamente moderna anche se, spiega Famiglia Martelli, in attività dal 1926 nella Toscana dell’antico borgo di Lari, “oggi non si parla più di pasta che scuoce neppure per i pacchi venduti al discount. Il motivo? L’essiccazione ad alte temperature, tra gli 80 e i 120 gradi, che io paragono all’allevamento dei polli in batteria perché provoca la perdita del profilo organolettico della pasta e della sua porosità. Noi essicchiamo a temperature inferiori ai 36° C, con ventilazione omogenea e umidità sotto controllo. Le nostre penne lisce sono buone anche semplicemente con un filo d’olio“.
Ma la differenza la fanno anche le materie prime: nel caso del pastificio Martelli sono i migliori grani duri italiani, macinati dal Molino Borgioli di Calenzano.
Ma altri producono, orgogliosamente, le penne lisce: il pastificio trentino Felicetti, per esempio, le propone per esaltare la tessitura fine della semola Matt.
Il pastificio Mancini, la tradizione delle penne lisce incontra il grano turanico, per un prodotto molto diverso, per aspetto e sapore, da quelli tristemente abbandonati sugli scaffali dei supermercati.
La penna liscia turanica di Pasta Mancini ha il colore della terra, uno spiccato odore di grano in cottura, ed è perfetta per una mantecatura veloce in padella, che assorbe facilmente il sugo. Ma nel meraviglioso mondo della pasta artigianale italiana, chi vuole ricredersi sulle penne lisce può bussare anche alla porta di piccolissime realtà che hanno fatto della filiera chiusa un valore da proteggere: come il pastificio di Antonio Caccese, nato nell’azienda agricola di Ariano Irpino specializzata nella coltivazione di grano duro con vecchie pratiche agronomiche.
Qui si lavora su trafilatura lenta al bronzo, lunga essiccazione a bassa temperatura in celle ventilate, mai oltre i 46 gradi; e i formati sono quelli della tradizione campana, quindi non possono mancare le penne (e i pennoni) lisce.
Infine, un valido consiglio per l’uso, anche quando non si dispone del prodotto migliore: fermo restando che ogni formato ha il suo condimento ideale, un buon trucco per cucinare le penne lisce può essere il ricorso alla risottatura della pasta.