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Cucina

Curry, quali tipi ci sono e come usarli

Esploriamo i tipi di curry per conoscere meglio questo mix di spezie fin troppo travisato: ecco quali sono e come usarli in cucina

Il curry è una spezia in polvere indiana che rende automaticamente un piatto etnico, ma questa è la definizione generalizzata e sbagliata.

Prima di tutto bisogna distinguere la spezia curry e il piatto al curry. Dopodiché bisogna chiarire che il curry non è una spezia, ma tante spezie miscelate insieme.

Inoltre bisogna ricordarsi che il curry non è indiano, ma è un’invenzione britannica ispirata ai masala (miscele di spezie) dell’India colonizzata (la parola curry si potrebbe applicare a tutti i mix di spezie, senza distinzione geografica).

Ma quindi quanti e quali sono i tipi di curry? Scopriamolo insieme, ricordando che fra gli ingredienti ricorrenti troviamo zenzero, curcuma, aglio, fieno greco, cumino, coriandolo, cardamomo e cannella capire come usarli in cucina.

Le diverse tipologie di curry esistenti

Partiamo dalle origini del curry (quello intenso in senso occidentale): prima di tutto viene il garam masala, che in Hindi significa letteralmente spezie piccanti.

Alla sua base – anche se ci sono tantissime varianti – troviamo finocchio, pepe, peperoncino, alloro, chiodi di garofano, cannella, noce moscata, coriandolo, cumino cardamomo.

Foto | Unsplash @Aditya Kulkarni – 15giorni.it

Il masala curry è un mix molto simile dalla spiccata tendenza dolce. Viene aggiunto a fine cottura per piatti molto più inglesi che indiani, anzi proprio tipici di Londra come il chicken tikka e il pollo in salsa gravy con yogurt e spezie.

Un altro dei principali curry indiani è il Madras, dalla città che oggi si chiama Chennai nel sud dell’India. Si tratta di un mix piccante costituito da almeno un 8-10% da peperoncino rosso, con paprika e curcuma, responsabili del colore arancione scuro.

Si tratta di un curry abbastanza bilanciato nel sapore. Il Madras è un buon compromesso ed è particolarmente apprezzato per l’aroma fragrante e pungente.

Viene utilizzato principalmente con il riso, jasmine o basmati, condito con verdure, tofu, gamberi, pollo. Per attivarlo ve lo consigliamo in abbinamento “grasso” con burro o ghee.

Il nome altisonante ci suggerisce che siamo di fronte a un curry nobile: il Maharajah, tipico del nord dell’India, è impreziosito dallo zafferano.

Giallo carico, molto profumato, ottimo per l’uso durante cottura e ottima alternativa al Madras, specialmente per chi non ama la piccantezza spinta. Da provare nel risotto al curry, unendolo direttamente  al grasso di cottura per sprigionarne aroma e profumo.

Astenersi delicati di stomaco. Il Vindaloo è un mix extra-piccante di Goa costituito almeno dal 15-16% di polvere di peperoncino rosso. Di quelli che in teoria coprono tutto, ma le altre spezie resistono e sono coadiuvate dall’aggiunta di cardamomo.

Il colore scuro è già un avvertimento e viene usato per curry particolarmente fragranti e aromatici.

Il vindaloo prende il nome dal piatto portoghese carne de vinha d’alhos o carne marinata nell’aglio, di cui Goa è stata colonia. La specialità locale prevede l’abbinamento con maiale, capra o gamberi.

Un altro classico per marinare la carne è il Tandoori, il quale prende il nome dal tandoor, il forno indiano a forma di urna per cuocere il pane e arrostire la carne.

Questo mix si distingue per il colore rosso, dato principalmente dalla paprika, e dal piccante dell’abbondante peperoncino. Da usare fin nella fase di preparazione per carne e pesce al forno o alla griglia.

Il Vadouvan è il curry dell’India francese, a sud del subcontinente, e l’influenza si sente eccome.

Nel mix infatti troviamo anche timo, cipolla, rosmarino, scalogno e semi di senape. La dispensa della nouvelle cuisine che fa letteralmente incursione nel coloratissimo mondo delle spezie indiane.

Si consiglia di farne una pasta insieme ad acqua e olio. Il Vadouvan diventa facilmente dressing per insalata, spread sui crostini (al burro ovviamente), salsa base per carne, pesce e verdure.

Il blend medio piccante bengalese (tipico del West Bengala e Bangladesh) è caratterizzato da  peperoncino rosso, cardamomo, semi di senape, fieno greco e aglio.

Viene utilizzato per i piatti tipici di tutti i giorni, specialmente stufati di pesce, carne e verdure. Dà il meglio di sé con le proteine, pollo ma anche ceci e tempeh.

Curry thailandese, indonesiano, giapponese e molto altro

Ci spostiamo in Nord Africa: in Marocco e nei paesi limitrofi il Ras El Hanout viene usato a pioggia su cous cous e tajine; inoltre il suo nome si può tradurre con top di gamma.

Il Ras El Hanout è caratterizzato da una parte minima di curcuma compensato da cumino, coriandolo, allspice. Poco piccante (c’è solo pepe nero), va d’accordo con i piatti unici di cereali. Dal tipico cous cous a miglio, grano saraceno, riso, sorgo.

Foto | Unsplash @Nikoli Afina – 15giorni.it

Tradizionalmente in pasta, il curry thailandese si trova facilmente anche in polvere. Prendetelo come un semaforo: si distingue immediatamente per i suoi tre colori. Ecco quali sono le caratteristiche principali di ognuno:

  • Curry verde: il più diffuso e, contrariamente alla canonica associazione cromatica, il più piccante. Si distingue per la polvere di peperoncino verde, oltre a galanga, cipolla, lemongrass. Eccellente con pollame, noodles di riso, zuppe e stufati di pesce.
  • Curry giallo: versione thai del curry indiano, meno piccante e assai più dolce. Si distingue per la presenza di curcuma, pepe bianco, kaffir lime, senape. Da utilizzare per piatti delicati, specialmente vegetariani.
  • Curry rosso: il più versatile, moderatamente pungente e aromatico. Caratterizzato dalla paprika, contiene anche basilico, lemongrass e kaffir lime. Nella cucina thai viene usato soprattutto per anatra, gamberi, pollo saltato.

Detto kare/kari, questo blend unico si distingue per il profumo intenso. Contiene infatti cannella indonesiana, galanga, semi di finocchio, foglia curry essiccata. Viene usato per piatti in stile Malay, diffusi nell’area insulare del Sud Est asiatico. Qui la cucina è caratterizzata dall’uso di erbe e spezie, latte di cocco, pasta e salsa di pesce.

Anche il curry ha un ruolo importante, a partire dalla specialità nazionale nasi goreng, preparato con riso fritto con pollo e/o gamberetti, uova e verdure saltate. Altri piatti tipici sono rendangcurry asciutto di manzo e opor ayarn pollo al cocco.

Introdotto dagli inglesi nel corso dell’Ottocento, il curry giapponese ha un carattere tutto suo. Intanto bisogna sapere che il karē è uno dei piatti tipici più amati e popolari del Giappone, alla faccia nostra che pensiamo ancora che il primato spetti al sushi. Viene utilizzato in zuppe, stir fry e ramen.

Rispetto all’originale indiano, il curry giapponese è più denso e pastoso, e decisamente meno piccante. Il mix è impreziosito da finocchio e anice stellato. Da provare in abbinamento con pollo e maiale, magari in versione tonkatsu o cotoletta (vale anche la versione vegetariana con cavolfiore o sedano rapa).

Un curry nei Caraibi? Ebbene sì, dal 1830 quando arrivò insieme a un’ondata migratoria indiana. Da quel momento il mix poco piccante si alterna al più vivace jerky, dry rub per carne a base di paprika e tabasco. Il blend jamaicano infatti è speziato soltanto dal pepe di Cayenna, e include anche polvere di senape, anice, fieno greco, allspice.

Ma non è l’unico. Altre due tipologie di curry naturalizzate sono West Indian dal sapore dolce e vellutato; e Trinidad curry con pepe nero, curcuma, allspice e cardamomo. In queste isole il mix equivale al nostro prezzemolo: lo trovate dappertutto, frutta compresa.

Questa tipologia richiama inevitabilmente piatti di pesce: stufati, zuppe, grigliate. Ottimo anche con agnello, spiedini di carne, verdure al vapore.

In Malesia invece il curry punta più sull’aromatico e sul dolce rispetto al piccante, grazie all’aggiunta di finocchio, senape, cumino, fieno greco.

È un eccellente dry rub su carne grigliata, specie agnello, tacchino, manzo.  In alternativa provatelo con le uova, su tofu e stir fry di verdure.

Il càri vietnamita è denso e aromatico, un velluto morbido che accarezza il palato senza troppi effetti collaterali.

Il mix infatti è molto meno piccante della controparte indiana, caratterizzato da zenzero, finocchio, lemongrass, anice stellato. Dà il meglio di sé con il latte di cocco, ma anche tofu, noodles, marinature per carne e pesce.

Sri Lanka, Singapore e infine quello di Zanzibar

Il curry cingalese ha due anime: una fieramente spicy tipica di Jaffna, l’altra mild detta Badapu Thunapaha. Entrambe sono caratterizzate da un’aromaticità intensa, resa unica dalla tostatura delle spezie fra cui foglie di curry e pandan.

Foto | Unsplash @Sushmita Chatterjee – 15giorni.it

Il curry Jaffna, con il suo peperoncino a pioggia, si sposa a piatti di carne dal sapore deciso, come capra, asino, pollo arrosto e pesce. Il secondo, la cui pungenza limitata è data unicamente dal pepe nero, accompagna carne bianca, zuppe e stir fry di verdure. Cimentatevi, dalla pasta pancetta e curry agli straccetti di pollo su letto di riso.

La città-stato di Singapore ingloba cultura cinese, malese, indiana, thailandese e indonesiana, a partire dalla cucina: il curry, in versione extra-piccanti, include anche polvere di riso e finocchio.

Eccellente con pesce e crostacei, dà il meglio di sé con gamberi scottati e tagliata di tonno. Da usare anche per carni bianche, piatti di noodles e riso al salto.

Infine c’è il curry di Zanzibar: nel Seicento il territorio faceva parte del Sultanato dell’Oman, che a sua volta era caratterizzato da una forte influenza indiana in cucina.
Il curry dell’isola ne mantiene la ricchezza aromatica, ma di piccantezza ce n’è assai meno, e contiene paprika dolce e peperoncino, zucchero di canna e tanta cannella. Un blend dolce e gentile da usare in riso, salsa, verdure, insalata di pesce.
Giulia De Sanctis

Laureata in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, collaboro attivamente con riviste e testate web del settore culturale, enogastronomico, tempo libero e attualità

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